Riforma pensioni 2021, ultime post quota 100: Ape sociale strutturale e via dai 63 anni?

Le ultimissime novità sulla riforma pensioni 2021 giungono dalle parole di Cesare Damiano, già ministro del Lavoro e consigliere Inail, che ribadisce come non solo Quota 100 non abbia superato la Legge Monti-Fornero tutt’ora vigente, ma come la misura, che continua ad essere argomento di propaganda, scada comunque al termine del 2021. Fa notare, inoltre, come non possa affatto essere considerata una ‘quota ‘in realtà, ma al più una finestra con parametri fissi. Le sue parole e le sue proposte post quota 100.

Riforma pensioni 2021, parla Damiano: Quota 100 é solo una finestra a parametri fissi

Così Cesare Damiano: “Quota 100al di la’ dei suoi aspetti positivi e negativi (a seconda dei punti di vista), non ha superato la legge Monti-Fornero. Si e’ trattato di una misura che scade a fine 2021 e che e’ stata finanziata per soli tre anni. Questo Salvini lo sa“.

Poi prosegue il già ministro del lavoro lanciando una ‘frecciatina’ a Slavini che sulla misura continua a darsi ampio merito e a ritenerla l’unica via di fuga dalla Riforma Fornero offerta fino ad oggi : “Chiamarla Quota e’, inoltre, improprio. Si tratta, invece, di una ‘finestra’ che richiede requisiti minimi fissi: 62 anni di eta’ e 38 di contributi. Chi sta al di sotto di questi numeri in pensione non ci va; e sappiamo che difficilmente le lavoratrici arrivano ad avere 38 anni di contributi. Questo e’ sicuramente un aspetto negativo. Che fare allora, oltre alla solita propaganda?

Ecco allora la proposta che passa per la resa strutturale di Ape Sociale e l’introduzione di nuove tipologie di lavori gravosi che potrebbero ricomprendere ad esempio quelli che sono stati maggiormente colpiti dalla pandemia , e per una flessibilità in uscita, per chi non rientrerebbe in tali categorie di lavori, che potrebbe vedere una penalizzazione del 2-3% sull’assegno ultimo per ogni anno di anticipo, ricordando la proposta di legge 857/2013 Damiano-Gnecchi-Baretta.

Riforma pensioni 2021, le proposte

Così Damiano: “Suggerisco di rendere strutturale l’Ape Sociale e di allargare le tipologie dei lavori gravosi, anche includendo, ad esempio, chi e’ stato maggiormente esposto alla pandemia. L’eta’ per andare in pensione per questa tipologia di lavori dovra’ essere confermata e non prevedere penalizzazioni: 63 anni di eta’ con un numero di contributi compreso tra i 30 anni (per disoccupati e lavoratori dell’edilizia) e i 36 anni. Un modo piu’ equo di rendere accessibile a uomini e donne la flessibilita’ previdenziale

Poi ricorda come per le donne dovrebbe essere anche riconosciuto ai fini previdenziali il lavoro di cura svolto, e ripropone una maggiorazione per quante hanno avuto figli, affinché sia più facile colmare ‘i vuoti’ contributivi: “A queste ultime va anche riconosciuta una maggiorazione contributiva per i figli”.

Poi ribadisce che estendere Ape sociale ad alcune categorie e fare in modo che divenga strutturale porterebbe ad una misura pensionistica moderna e di equità: “Introdurre una misura di flessibilita’ pensionistica senza penalizzazioni per chi svolge lavori usuranti, gravosi, esposti o e’ disoccupato, e’ una misura sociale moderna e di equita’“.

La riforma pensioni per essere completa dovrebbe però ricomprendere anche quanti non rientrano in queste categorie, consentendo anche ad altri lavoratori la possibilità di optare per un’uscita anticipata, ecco come: “Per chi non rientra in queste categorie si puo’ prevedere una penalizzazione del 2-3% per ogni anno di anticipo (proposta di legge 857/2013 Damiano-Gnecchi-Baretta)”. Poi conclude con un auspicio: “Mi auguro che questa discussione torni a essere svolta nel tavolo di confronto Governo-parti sociali e che sia sottratta al rischio di un approccio solamente propagandistico”.

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10 commenti su “Riforma pensioni 2021, ultime post quota 100: Ape sociale strutturale e via dai 63 anni?”

  1. Non riesco a capire come mai nessuno parla di chi i requisiti gli ha ma con parte degli anni lavorati nei paesi non convenzionati. Loro hanno lavorato come tutti gli altri. Non ha versato o contributi per quei anni perchè non poteva farlo ma non chiede la pensione per quei anni, chiedono la pensione solo per gli anni lavorati in Italia… tutte le convenzioni d’Italia fatte con tantissimi paesi quello prevedono… allora non è il momento di mettere a posto questa discriminazione ( vedi l’art. 3 della costituzione) tra chi ha avuto la fortuna di lavorare tutti gli anni in Italia e chi è stato costretto a farli quei anni in paesi non convenzionati convenzionati … Non è giusto usare come alibi la mancanza della convenzione e continuare a sfruttare i loro contributi per chiudere buchi di bilancio o altro. È ora di mettere a posto questa discriminazione…

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  2. Possibile che nessuno prenda in seria considerazione chi ha già dato?. Ogni giorno spunta un idea nuova per ristrutturare/riformare il sistema pensionistico ma nessuno vuole mettere il dito nella piaga.
    Iniziamo a mettere un punto fermo:
    – 40 anni di lavoro bastano per avere diritto alla pensione, senza se, senza ma, senza finestre e finestrine o qualsivoglia altra peripezzia per ritardare la pensione e/o diminuirla di valore. E non mi si dica che non ci sono i soldi perchè queste persone i 40 anni li hanno versati e probabilmente nei prossimi decenni saranno sempre meno le persone che potranno vantare tali versamenti (principio di equità). Coloro i quali ne hanno lavorati di più è giusto che gli venga riconosciuta una maggiore pensione (che in teoria è già compresa nel calcolo).
    Poi possiamo procedere a prendere in considerazione tutte le altre “agevolazioni” che consentono a chi non ha i 40 anni di versamenti di anticipare la pensione – e qui lascio spazio alla fantasia dei nostri politici, sindacati ecc.

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    • Sig. Pietro62 sono perfettamente d’accordo col suo pensiero quando dice che 40 anni sono più che sufficienti, forse alla luce dei fatti che ora esporrò possono bastarne anche meno.
      Torniamo un attimo al 1992, prima che si cominciasse a sfornare una legge pensionistica all’anno, a quel tempo c’erano due modi di pensionarsi, o per “anzianità” contributiva ovvero dopo 35 anni di contributi oppure per “vecchiaia” a 55 anni se donna e 60 se uomo con almeno 15 anni di contributi versati.
      Da allora cominciarono ad essere messi pesantissimi sacrifici sulle spalle dei lavoratori, sia in termini economici (passaggio dal sistema retributivo al contributivo) sia in termini di tempo di vita sottratto. Già questa doppia cattiveria non è spiegabile, o penalizzi in termini di tempo ma lasci invariato l’importo oppure tagli l’importo ma non modifichi i requisiti di accesso. Quanto è stato fatto grida vendetta, e non è nemmeno giustificabile dall’aumento della vita media delle persone.
      Dai dati dell’ISTAT la popolazione italiana nel 1992 era composta da 27.553.963 uomini e 29.218.960 per un totale di 56.772.923 persone che avevano un’aspettativa di vita di 80,58 anni se donne e 73,989 se uomini per una media ponderata di 77,381 anni. Nel 2019 i dati forniti sempre dall’ISTAT ci dicono che gli italiani erano 29.050.096 e le italiane 30.591.392 per un totale di 59.641.488 con una vita media che ha raggiunto gli 81,134 anni per gli uomini e 85,419 per le donne che danno come media ponderata 83,332 anni cioè 5,951 anni in più. Ebbene se fosse stato applicato strettamente questo criterio (che personalmente ritengo vada abolito senza se e senza ma) i requisiti a fine 2019 dovrebbero vedere (35+5,951) in 40,951 anni i contributi necessari per andare in pensione “anticipata” (adesso si chiama così perché anzianità sembrava brutto, mah) e non 42 anni e 10 mesi (quasi 2 anni in più del dovuto) e per quanto riguarda la vecchia salire a (55+5,951) a 60,951 per le donne e 65,951 per gli uomini. Ci hanno anche raccontato che la mitica europa richiedeva che l’accesso alla pensione di vecchiaia dovesse essere equiparata tra maschi e femmine, et voilà, come un bel gioco di prestigio le età sono adesso di 67 anni molto oltre a quello che la vita media giustifichi. Tanto per cominciare non si capisce perché invece di unificare verso una media ponderata tra 60,951 e 65,951 cioè attorno a 63,386 anni si sia invece scelto di uniformare il dato delle donne a quello più elevato degli uomini, un’altra cattiveria inaudita e gratuita nei confronti delle signore che oltre a lavorare hanno spesso sulle spalle il peso della vita familiare.
      Poi è arrivato il 2020 con un’epidemia di proporzioni globali che ha falcidiato una generazione di anziani tanto che l’istat ancor prima che l’anno finisse ha certificato che per la prima volta dal 1944 i morti hanno sfondato quota 700.000, cosa appunto che non succedeva da oltre 70 anni. Nel 2021 sappiamo che non ci sarà nessuna novità importante di riforma delle pensioni e quindi tutto è rimandato alla prossima legge di bilancio e al 2022. Ora in questi 2 anni non sappiamo di quanto si ridurrà l’aspettativa di vita ma sappiamo fin d’ora che si ridurrà, quindi anche i quasi 40,951 anni per la pensione anticipata sono troppi. Giustizia vorrebbe che dal 2022, 40 anni di contributi o anche qualcosa meno siano sufficienti per lasciare il lavoro naturalmente senza penalizzazioni economiche visto che in questo caso si lascia sul tappeto 5 anni di vita.
      Mi dissocio invece dal suo pensiero quando dice “e qui lascio spazio alla fantasia dei nostri politici, sindacati ecc.”, per carità meglio di no, chissà cosa potrebbero partorire visto le cose che si leggono in giro, un’idea più malsana dell’altra!!!!!
      Considerato i ristretti margini economici in cui operare ad oggi io ritengo che in aggiunta ai 40 anni si possa prevedere per chi su base volontaria accetta il ricalcolo interamente contributivo la possibilità di avere più flessibilità così come previsto dalle legge Dini che consentiva il pensionamento tra i 57 e i 65 anni a scelta del lavoratore.

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  3. Provate a chiedere al Sig. Cesare Damiano, come alla sua ex-collega Maria Luisa Gnecchi, oggi Vice presidente INPS, se intendono rendere strutturale l’Ape Sociale con tutti i suoi “vizi di legittimità”, primo fra tutti l’incompatibilità tra Ape Sociale e titolarità di un pro-rata estero, oppure la non utilizzabilità dei contributi esteri, che continua ad essere indicata nelle Circolari INPS. Così forse riusciranno a guadagnarsi una procedura d’infrazione da parte della Commissione UE, per violazione del Regolamento (CE) n. 883/2004, e dovranno poi saldare il conto con tutti i richiedenti di Ape Sociale che sono stati discriminati dall’entrata in vigore della norma il 1 maggio 2017. Ma guarda che combinazione, a quell’epoca il Sig. Damiano era presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, e la Signora Gnecchi capo gruppo del PD nella stessa Commissione Lavoro. Quando si dice il caso.

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