Riforma pensioni 2023, ultime: ‘bisogna ridurre debito pubblico’, parla Perfetto
Come vi avevamo anticipato ieri, di seguito pubblicheremo la seconda parte dell’elaborato del Dott. Claudio Maria Perfetto che prosegue la sua disamina circa le risorse per una prossima riforma pensioni e ribadisce il concetto base: che la riforma previdenziale é fortemente ancorata alla riforma del lavoro ed é per questo che andrebbero valutate insieme. Inoltre il punto é che debito pubblico e lavoro sono tra loro connessi, quindi per risolvere il problema delle pensioni, dice il Dott. Perfetto, bisognerebbe focalizzarsi su come ridurre il debito pubblico, Vediamo le sue parole:
Pensioni e riduzione debito pubblico: la chiave é qui? Parla Perfetto
“Debito pubblico e lavoro sono senz’altro tra loro connessi: più lavoro c’è, più tasse si versano, meno prestiti si chiedono, meno interessi si pagano, meno debito pubblico si forma.
Il punto più importante è smarcarsi dal mercato finanziario, proprio come accadeva quando la Banca d’Italia era sotto il controllo del Tesoro fino al 1981. Il posto della Banca d’Italia oggi l’ha preso la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), una banca governativa a pieno titolo, dal momento che è posseduta all’87% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Se la CDP emettesse la moneta digitale di Stato italiana, si eviterebbe in parte di ricorrere ai mercati finanziari per chiedere prestiti.
Breve divagazione: è di questi giorni la notizia che la Banca Centrale russa ha espresso l’intenzione di emettere il rublo digitale per limitare l’impatto delle sanzioni sull’economia nazionale.
La moneta digitale italiana, se circola solo in Italia parallelamente all’euro, non entrerebbe in conflitto con l’euro, né la CDP entrerebbe in conflitto con la BCE. Inoltre, la moneta digitale italiana sarebbe ancorata al patrimonio dello Stato italiano (spiagge demaniali, edifici pubblici, ecc…), non sarebbe quindi una moneta “creata dal nulla” ma sarebbe la “creazione digitale”, per così dire, ma non criptovaluta, di un capitale fisico che ha un proprio valore finanziario.
Riforma Pensioni: L’ostacolo per Quota 41, OD,Quota 103 non sono le risorse, ma…
Poi prosegue il Dott. Perfetto analizzando la seconda risposta: “
La RISPOSTA 2 (“NO, l’ostacolo per Quota 41, OD, Quota 103 non sono le risorse”) verte principalmente sui seguenti elementi:
- la Cassa Depositi e Prestiti emette la moneta digitale di Stato, circolante solo in Italia, parallelamente all’euro, e ancorata al patrimonio pubblico dello Stato (e quindi la CDP non creerebbe la moneta digitale di Stato dal nulla);
- salari e pensioni vengono retribuiti parte in euro e parte in moneta digitale di Stato;
- tasse e contributi vanno versati in moneta digitale di Stato;
- macchine intelligenti versano imposte digitali tramite l’azienda che le impiega (equivarrebbe un po’ a quello che lo Stato in parte ha intenzione di fare: applicare le tasse sugli extraprofitti aziendali)
In definitiva, per risolvere il problema delle pensioni bisogna risolvere ANCHE il problema del debito pubblico.
Focalizzarsi sulla separazione tra Previdenza e Assistenza, o sulla rimozione di privilegi acquisiti, o su altri fattori che non tengano conto dell’influenza della Banca Centrale Europea e dei mercati finanziari sui prestiti che lo Stato italiano chiede attraverso l’emissione di titoli del debito pubblico, non risolve il problema delle pensioni, perché distoglie l’attenzione da uno dei principali ostacoli alla riforma delle pensioni: il debito pubblico.
Focalizzandosi, invece, su come ridurre il debito pubblico, in una economia digitale fortemente centrata su automazione e intermediazione digitale nella produzione e consumo dei servizi digitali attraverso l’impiego di fattori di produzione digitali, si individuano mezzi, risorse e riforme (tra cui quella del lavoro) per risolvere il problema delle pensioni in linea con le aspettative dei lavoratori e con la disponibilità di risorse da parte dello Stato“.
Voi che idea vi siete fatti al riguardo? Nel mentre ringraziamo il Dott. Perfetto per il tempo dedicatoci.
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Non è affatto semplice immaginare delle vie di fuga quando ci si è spinti così tanto in là, oltre qualsiasi linea di prudenza. Siamo ormai talmente immersi nell’eurosistema e nel suo mondo onirico che onestamente è estremamente difficoltoso prefigurare una presa di coscienza collettiva tale da condurre a un reale sovvertimento della rotta. Tuttavia, poco costa provare a immaginare come questa sorta di rinsavimento potrebbe avvenire, magari attraverso delle eventuali “manovre di aggiramento” – potrebbero forse definirsi così. Onde tendere al riappropriamento di almeno di parte di quei diritti di autodeterminazione che così tanto sangue fatica e sofferenza è costato inserire nella nostra Carta Costituzionale. Ora così palesemente elusa. Sì, personalmente credo che la via della cosiddetta “moneta parallela”, sia “il primo chiodo” da conficcare. L’indicazione della strada. Si era parlato a suo tempo (mi pare l’on. Borghi) anche di minibot. Anche cartacei, e se ne era se non sbaglio anche prefigurata l’immagine. Ad ogni modo, tutto ciò che serve anche allo scopo di costituire un sorta di appiglio (magari anche con fini suggestivi, nella speranza di aprire un po’ di coscienze) e tracciare una strada, oltreché ovviamente per dare subito un minimo di ossigeno al paese, ben venga.
In Italia hanno creato lavoratori, quindi futuri pensionati, di serie A e dalla fornero in poi lavoratori di serie B. Questa è l’amara realtà. Ad una certa età, che non è quella prossima alla morte:LIBERATECI!!!!!
Vedo!! Avete discriminato le donne con i tagli su opzione donna
Poi quella sul numero dei figli incommentabile ( chi ha figli ci va prima di chi non ne ha)
Nel 2023? Ma scherziamo
Da una premier donna non me lo sarei mai aspettato 🤬
Scusi Giorgio con la sua petizione di principio il Dottor Perfetto ( un vero signore) le risponde giustamente che non porta un valore accrescitivo o di confronto nonostante ciò non è indispensabile pensarla tutti in maniera eguale (:(altrimenti che noia) però scrivere un utile idiota è un utile idiota non credo sia un termine che possa portare a un dialogo costruttivo dopodiché De Gustibus lungi da me fare predicozzi dove già la polemica regna sovrana.
parole sante, caro Luigi; concordo al 1000%; saluti a te e ai gestori del sito
Mi piacerebbe domandare a chi a suo tempo disse: CON L’EURO LAVOREREMO DI MENO E GUADAGNEREMO DI PIÙ. Perché ci hai preso per il culo in questa maniera? Forse il Dott Claudio Maria Perfetto la risposta ce la può dare. Grazie con la speranza che almeno QUOTA 103 NON SIA PENALIZZANTE.
Sig. Alessandro Paci, lei dice: “Mi piacerebbe domandare a chi a suo tempo disse: Con l’euro lavoreremo meno e guadagneremo di più, perché ci hai preso [in giro] in questa maniera?”.
Probabilmente, lei, sig. Alessandro Paci, intende riferirsi alla frase che alcune testate giornalistiche attribuiscono a Romano Prodi quando era Presidente del Consiglio dei Ministri: “Con l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più.” Era il 1999.
L’euro è stato introdotto il 1° gennaio 1999 come moneta scritturale, utilizzata unicamente per fini contabili, ad esempio nei pagamenti elettronici. Il contante è entrato in circolazione il 1° gennaio 2002.
Non saprei come valutare l’affermazione del Presidente Prodi, occorre inquadrare l’affermazione nel contesto del discorso al quale l’affermazione si riferisce, e purtroppo non riesco a risalire al discorso completo.
Mi verrebbe da pensare che, se lavoro un giorno in meno al mese (diciamo 22-1) e guadagno come se lavorassi un giorno in più al mese (diciamo 22+1), è come se lavorassi 21 giorni al mese guadagnando come se ne avessi lavorati 23, ovvero guadagnando in più la paga relativa a 2 giornate che, moltiplicate per 11 mesi (1 mese è di ferie) risulterebbero pari a 22 giorni l’anno, cioè pari a 1 mese.
In definitiva, l’affermazione del Presidente Prodi la si potrebbe tradurre in questi altri termini: con l’euro lavoreremo come prima dell’euro, ma guadagnando all’anno un mese di paga in più.
Lasciamo per un attimo il ragionamento teorico e vediamo il ragionamento pratico invece.
Dal primo gennaio 2002 al 28 febbraio 2002 (quindi per 2 mesi) ci fu la doppia circolazione della moneta (lira ed euro) e il primo marzo 2002 cessò il corso legale della lira.
Gli stipendi e le pensioni vennero convertiti da lira ad euro seguendo scrupolosamente il cambio: 1 euro = 1.936,27 lire.
Ora è bene dare uno scorso al Disegno di Legge n. 817 dal titolo “Obbligo dell’indicazione in lire del prezzo espresso in euro per i prodotti in vendita negli esercizi commerciali”, presentato al Senato in data 24 giugno 2008 per iniziativa del Senatore Pedica. Cito solo alcuni tratti:
─ “L’introduzione in Italia dell’euro ha prodotto un’immediata ed indesiderata lievitazione generalizzata dei prezzi, anche a causa della mancata percezione del valore reale della nuova moneta europea, complice il cambio stabilito per il nostro Paese, particolarmente idoneo a favorire manovre speculative ed arrotondamenti vistosi. In particolare, in seguito all’introduzione dell’Euro i commercianti approfittarono per effettuare arrotondamenti selvaggi dei prezzi, in spregio dei consumatori”;
─ “L’obbligo di doppia esposizione del prezzo (in lire e in euro) per un adeguato periodo di tempo (almeno 6 mesi) non venne in alcun modo imposto né controllato”;
─ “I prezzi sui quali sarebbe stato possibile esercitare un controllo – luce, gas, tariffe dei trasporti vennero aumentati quasi subito dai rispettivi gestori pubblici e privati con il beneplacito del Governo”.
Dei seguenti aspetti:
– invarianza degli stipendi e delle pensioni nel passaggio dalla lira all’euro
– lievitazione dei prezzi al consumo
ne sono testimoni diretti tutti i lavoratori che sono ormai prossimi alla pensione. Ma ho voluto riportare comunque le citazioni espresse nel DDL 817 per evidenziare che gli arrotondamenti selvaggi dei prezzi avvenuti in spregio dei consumatori sono ben documentati negli Atti del Senato.
A questo punto si può benissimo affermare che a parità di lavoro, anche con un mese di paga in più all’anno, non c’è stato alcun guadagno nel passaggio dalla lira all’euro, in quanto tale “ipotetico” guadagno è stato assorbito dall’aumento dei prezzi.
Quindi, concludendo, si può affermare che l’affermazione del Presidente Prodi, anche se non conosciamo il contesto entro il quale si inserisce, viene smentita categoricamente dalla realtà dei fatti.
Tuttavia, nonostante questa smentita, non ci sono elementi oggettivi a testimonianza del fatto che il Presidente Prodi possa avere preso in giro la gente che aveva riposto in lui fiducia completa nel passaggio dalla lira all’euro.
Personalmente, non nutro dubbio alcuno che il Presidente Prodi abbia agito nella piena consapevolezza di fare ciò che egli riteneva sarebbe stato giusto fare per l’Italia.
Per correttezza e per maggiore comprensione dell’accaduto, bisogna riportare alcune date. L’euro è entrato in vigore con il governo Prodi con un cambio favorevole all’Italia. Da quel momento Prodi è stato sfiduciato e vennero i governi D’Alema I, D’Alema II e Amato II. Il cambio da Lira ad Euro nella vita reale e nelle tasche degli italiani avvenne sotto il governo Berlusconi che non recepì la legge sul doppio prezzo Lira-Euro e non controllò su quanto avveniva sui banchi dei negozi e dei mercati. In pratica permise ai suoi elettori di riferimento, padroncini, commercianti, piccoli imprenditori, di fare i comodacci loro mettendo le mani nelle tasche degli italiani. Quanta IVA in più ha incamerato quel governo ?
Completamente IGNORATI noi, CITTADINI ITALIANI, che rivendichiamo la possibilità di andare in pensione a 62/64 anni senza condizionamenti di sorta. Questo è parlare di flessibilità in uscita.
Questa sa Settimana Enigmistica. = Se io posso andare in pensione fra due anni con 1700, perché non posso andarci adesso con 1600? Si dice che sarebbe pari per INPS. La verità è che se muoio oggi o fino a 67 anni, INPS si mangia tutti i miei contributi. Invece per farmi pagare il doppio dei contributi versati, dovrei campare circa 97 anni. Chi ci guadagna?
È facile parlare quando si è già al sicuro
Sig. Franco Calabrese, lei ha pienamente ragione: è facile parlare quando si è al sicuro (come lo sono io, e come lo sono tanti parlamentari e politici).
Per quel che mi riguarda personalmente, mi è ancora più facile parlare, perché:
– dico quello che so, per averlo appreso da esperienza diretta;
– so quello che dico, per averci riflettuto per anni interi;
– non temo le critiche, che invece apprezzo moltissimo perché mi offrono l’opportunità di analizzare elementi che potrei avere trascurato, e che potrei inserire nel mio quadro di riferimento di idee contribuendo in tal modo ad ampliare i confini del mio pensiero, mettendo al tempo stesso a fuoco la non sempre chiara visione del mondo in cui viviamo.
Quando si è al sicuro, non solo è facile parlare, ma è anche facile essere obiettivi, senza vedere le cose sotto la lente di ingrandimento di uno stato emotivo alterato, uno stato agitato che potrebbe essere indotto da rabbia e frustrazione.
E quando si dicono le cose senza rabbia, quando il cuore è calmo e quando la mente è pacata, ma, soprattutto, quando si vede se stessi negli altri, e si fanno propri i problemi degli altri, allora si dicono parole aderenti alla realtà.
Parto da una sua affermazione: “Focalizzarsi sulla separazione tra Previdenza e Assistenza, o sulla rimozione di privilegi acquisiti, o su altri fattori che non tengano conto dell’influenza della Banca Centrale Europea e dei mercati finanziari sui prestiti che lo Stato italiano chiede attraverso l’emissione di titoli del debito pubblico, non risolve il problema delle pensioni, perché distoglie l’attenzione da uno dei principali ostacoli alla riforma delle pensioni: il debito pubblico. ” Le dirò francamente il mio parere. Correlare insistentemente il debito pubblico alla previdenza in un rapporto di effetto e causa preminente è errato perchè quanto da lei menzionato e anche altro non hanno titolo per essere contabilizzati come previdenza. Il debito pubblico elevato stà penalizzando pesantemente anche sanità, istruzione, pubblica sicurezza servizi pubblici in genere. Il debito pubblico elevato è un ostacolo generalizzato alla buona azione politica e non solo alla riforma pensionistica. Il problema del debito eccessivo è dello stato che abitualmente carica in capitoli impropri cifre che andrebbero nominate in modo appropriato. Come? Accetto il suo suggerimento, un bel capitolo denominato: Assistenza, Privilegi acquisiti, e aggiungo io rimanendo in linea, eccedenze di spesa da gestione incontrollata e irrazionale, et similia” oppure, ricordando un vecchio contabile che lavorava anche a casa quando non andavo ancora a scuola, oltre 56 anni fa,”regalie, mance e provvigioni”. Non risolve certo il problema di reperire risorse un tale cambio di contabilizzazione ma orienta correttamente l’analisi, fa uscire la previdenza dai riflettori e toglie materia alle continue e nauseanti pressioni per il ridimensionamento fino all’impoverimento coatto di tale settore che finisce per sembrare l’unico responsabile del deficit elevato. Come ha detto lei in altro articolo, la cito a senso per quel che ricordo, pensioni e sanità sono le voci più rilevanti del bilancio pubblico ed è ovvio che, visto la rilevanza del debito, tutti i fautori interni ed esterni di un suo ridimensionamento partono dal ridimensionare quelle voci lì. Sono cresciuto in italia ma evidentemente non sono italiano per cui credo che con 43 anni e un mese di contributi e tasse io e molti altri abbiamo fatto la nostra parte, che sacrifici e penalizzazioni siano naturalmente a carico di chi ha concorso a spese idonee al capitolo privilegi e assistenza incontrollata ecc. ecc.. Se lo stato non sa governare mi costringerà alla sua irrazionalità, ma la subirò per quello che è: un’atto forzoso e oppressivo, in latino una vis, in italiano una violenza.
Ma quanti anni sono che si parla di riduzione del debito pubblico??
Quanti anni sono che si parla di lotta all’evasione fiscale??
Quanti anni sono che si parla di spesa pubblica “virtuosa”??
Ma quanti anni sono che si parla di lotta agli sprechi e alle rendite e ai privilegi ingiustificati??…ecc.
Quanti anni sono che si fa poco o nulla??
Allora forse significa che da qualche parte c’è qualcosa che “tocca”, come si suol dire!!!
Quota 103 è attualmente sostenibile? Se sì, allora perché non renderla strutturale ma flessibile nella sua declinazione? Perché non ammettere al raggiungimento della quota anche le combinazioni 63+40, 64+39, 65+38 e 66+37?
Infatti, queste combinazioni vedono età superiori rispetto agli attuali 62 anni (quindi una minore durata dell’assegno) e una minore contribuzione rispetto ai 41 dell’attuale quota 103 (un assegno inferiore). Quindi, se è vero che questa flessibilità allargherebbe la platea dei potenziali pensionandi, è altrettanto vero che i costi per lo stato sarebbero inferiori a quelli sostenuti per l’attuale quota 103.
sai perchè non lo fanno? adesso te lo spiego: ammettere tutte queste combinazioni allargherebbe in maniera elevatissima il numero dei pensionati; chi comanda non vuole questo perchè questo aumenterebbe la spesa pubblica; per loro esiste la legge fornero e quasi niente altro; loro con i 62 e 41 decidono di escludere: chi è più giovane e chi non raggiunge i 41 anni; credi che non abbiano calcolato quanti potenziali? lo hanno fatto e avranno deciso di no; poi speriamo che cambino idea ma. la vedo dura; saluti a te e ai gestori del sito
Le quote sono sbagliate e discriminatorie. Come dice anche il dottor Perfetto l’età anagrafica deve rimanere la base su cui poggiare.
Bravissimo
Così quelli come me che quest anno compio 61 anni e 41 di contributi…secondo lei io dovrei continuare a lavorare per almeno altri due anni..ossia..63 anni e 43 anni di contributi..che sarebbe la fornero..geniale ,si sta facendo la battaglia per fermarsi a 41..invece le dice che bisogna venire incontro a chi ha lavorato meno..speriamo ben di no
Caro Fabio, è un semplice calcolo matematico: 61 e 41 fa 102; hanno deciso che quest’anno il limite è 103; e per il 2024? non lo sappiamo ma stai certo che non cala, piuttosto cresce; mettiamo che diventi 104; a me andrebbe bene 64 e 40; a te 62 e42; cosa faranno? lo vedremo tra novembre e dicembre; saluti a te e ai gestori del sito
Si chiama disoccupazione tecnologica. Il grande Jacque fresco ,un luminare, disse :La tecnologia e più efficiente della manodopera, è ora di massificarla invece di sentire aziende che forniscono un servizio sociale per tenere le persone impegnate, dimentichiamo il sistema paralizzante del lavoro, siamo in un paradigma diverso, possiamo crea abbondanza su questo pianeta è acceso all ‘abbondanza. La domanda da farsi è, cos’è un lavoro !
Buongiorno Dottor Perfetto pur non essendo un’economista nel mio piccolo a torto o ragione l’idea che mi sono fatto leggendo il suo articolo è che la soluzione prioritaria sia creare nuovi posti di lavoro( da qualche parte questo slogan l’ho gia sentito) perdoni il sarcasmo detto questo mi lasci dire che la sperequazione di un pensionato politico (vedi il Napolitano di turno) e un’operaio o un’ausiliario fa si che di democrazia in questo paese ci sia ben poco. Ad oggi meglio costruire polemiche televisive su R.D.C. e speculazioni bancarie in modo da sviare problemi più seri vedi Sanità Scuole Disabili Pensioni ecc. ecc. a questo aggiungiamo i costi elevati delle tasse(tanti lavoratori più soldi per lo stato) per infrastrutture pubbliche l’evasione fiscale e metà dei problemi sarebbero in parte risolti a questo aggiungiamo la guerra in Ucraina insomma chi più ne ha più ne metta e trovare una giusta quadra per avere un sistema pensionistico protratto nel tempo e pensioni congrue al costo della vita a parer mio diventa quasi improbo per un profano come il sottoscritto. Ora termino ponendo un quesito a tutti: ma a tutti questi economisti spocchiosi che si presentano nelle varie tv con le loro ricette miracolose qualcuno potrebbe chiedere del perchè non vengano messe in pratica? Nessuno ha la bacchette magica inutile ripetere che i danni fatti in passato dai politici degli anni 60/70 sono devastanti e dopo di loro la consecutio nel perseverare è sotto l’occhio di tutti però un qualcosa per migliorare la condizione di tutti noi dovrebbe esserci ma senza una reale volontà di chi di dovere caro Dottor Perfetto non è possibile. Pessimismo o realismo?
Sig. Luigi, l’idea che si è fatto leggendo l’articolo è corretta: la soluzione prioritaria è creare nuovi posti di lavoro. “Nuovi” nel doppio significato di “nuovi lavoratori” e di “nuove professioni”.
Come lei giustamente osserva, la promessa di creare posti di lavoro è divenuta uno slogan, soprattutto nella propaganda politica. Ed è uno slogan perché in campagna elettorale occorre esprimere il pensiero con una frase sintetica, che colpisce e che resti impressa nella mente dell’elettore. Quindi con lo slogan si dice “cosa” si vuole fare ma non si scende in dettagli, non si dice anche “come” lo si vuole realizzare.
Certo, se solo si riuscisse a recuperare parte dei miliardi di evasione fiscale, si potrebbe fare meno ricorso ai prestiti e quindi ridurre progressivamente il debito pubblico. Lo Stato potrebbe fare più investimenti in Sanità, Istruzione, Infrastrutture e ciò farebbe crescere l’economia, ed anche le pensioni ne trarrebbero beneficio. Il recupero dell’evasione fiscale è costantemente presente nell’agenda di Governo. Ma non sempre i risultati sono conformi alle aspettative.
Ci sono economisti che siedono al Senato, che si presentano in TV, che sono consulenti del Governo, danno indicazioni e presentano le loro ricette economiche. Sig. Luigi, lei domanda perché tali ricette economiche apparentemente “miracolose” non vengano messe in pratica.
A mio avviso, le ricette economiche proposte dagli economisti non vengono messe in pratica perché non ci sono le condizioni economiche per poterle attuarle, ovvero, non ci sono gli strumenti, o le risorse per poterle attuare. Viviamo in una società in trasformazione, verso il digitale, verso una economia digitale, e quindi le ricette economiche dovranno essere conformi alle caratteristiche dell’economia digitale.
Al momento non mi pare di conoscere alcun “economista digitale” che abbia dell’economia digitale una visione differente dalla “New Economy” degli anni Novanta-Duemila, quando assieme ad Amazon nacque il commercio elettronico (e-commerce). Per la verità, io penso che la “New Economy” altro non sia che la “Old Economy” che utilizza strumenti “New” come la tecnologia internet.
Perciò, qualunque “ricetta economica magica” un economista possa avere (non solo italiano, ma di qualsiasi altro Paese del mondo), se tale ricetta non ha i giusti “ingredienti dell’economia digitale” non può essere messa in pratica, realizzata in una società in avanzata trasformazione digitale.
Il primo ingrediente dell’economia digitale è la moneta digitale: qual è la sua natura, come la si ottiene, come la si distribuisce, come la si utilizza. Perciò, è da qui che occorre partire per costruire ricette economiche da applicare all’economia digitale che caratterizza la società digitale.
Quindi, sig. Luigi, provo a rispondere in maniera precisa e chiara alla sua domanda: “ma a tutti questi economisti spocchiosi che si presentano nelle varie tv con le loro ricette miracolose qualcuno potrebbe chiedere del perchè non vengano messe in pratica?”.
Mia risposta: le ricette miracolose proposte dagli economisti non vengono messe in pratica perché, per quanto valide possano essere per l’economia tradizionale, tuttavia non soddisfano i requisiti che devono avere per essere attuate in una economia digitale, requisiti in materia di moneta digitale (come mezzo di scambio digitale) e lavoro e capitale digitali (come fattori di produzione digitali), finalizzati alla produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi digitali in una società digitale caratterizzata da diffuso utilizzo di automazione mediante robot e da intermediazione digitale mediante software “intelligente” nonché dal crescente impiego di Intelligenza Artificiale in grado di creare opere in tutti i campi di ingegno (tra cui musica, pittura, arte) fino a poco fa di dominio esclusivo dell’essere umano.
Per quanto riguarda il suo “realismo” nelle frasi finali del suo commento, sig. Luigi, vorrei dirle questo. Non si tratta di avere “solo” una reale volontà di fare le cose. Bisogna che ci siano anche le condizioni per farle. Certo, se le condizioni non ci sono, occorre crearle. E le condizioni si creano proprio in occasione di difficoltà crescenti (pressioni provenienti per esempio dal Consiglio Europeo in materia di disciplina dei conti pubblici), e di crisi (danni provenienti dall’inflazione che erode i risparmi e aumentano le rate del mutuo; danni provenienti da calamità naturali mai abbattutesi prima così ferocemente in Italia; invecchiamento della popolazione; bassa crescita economica).
E qui mi piace concludere riportando un pensiero di Albert Einstein che ci ha ricordato la Dott.ssa Erica Venditi qualche articolo fa: “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie”.
Si chiama disoccupazione tecnologica, perché continuare a parlare di lavoro. Il grande Jacque fresco ingeniere futuristico sociale, disse: La tecnologia e più efficiente della manodopera, è ora di massificarla invece di sentire aziende che forniscono un servizio sociale per tenere le persone impegnate, dimentichiamo il sistema paralizzante del lavoro, siamo in un paradigma diverso, possiamo crea abbondanza su questo pianeta è acceso all ‘abbondanza. Allora la domanda è, cos è un lavoro !
grazie dott. Perfetto dei chiarimenti; saluti a lei e ai gestori del sito
Certo. Ridurre mafia ed evasione. Sprechi con spending review che fanno tutti tranne l’Italia.
E pagare la pensione, anche anticipata, a chi ha pagato i contributi. E avere dei bravi amministratori come hanno le aziende di successo. E non gli amici degli amici. Fare le cose giuste e perbene non è un sogno. In Inghilterra ie n molti altri Stati, quello che hai pagato per la pensione sono soldi tuoi.
Sig. Guidobis, tutti sanno cosa ci sarebbe da fare, lo sa pure il Governo, ne sia certo.
Lo sanno anche i Partiti di opposizione, che erano prima al Governo; e lo sanno proprio perché hanno toccato con mano i problemi da risolvere ed hanno constatato che non è per nulla facile “fare le cose giuste e perbene” (sue parole).
Lo Stato non è un’azienda, e non può essere gestito come un’azienda. I bravi amministratori di aziende di successo sono coloro che pensano agli interessi degli azionisti ancora prima che a quelli dei lavoratori. I bravi amministratori dello Stato sono coloro che pensano alle necessità di tutti, azionisti, lavoratori e disoccupati.
Lo Stato non è una famiglia, e non può essere gestito come una famiglia. Le famiglie sono “utilizzatrici” di moneta e quindi devono valutare bene quanto spendono (devono fare revisione della propria spesa, fare “spendig review”); lo Stato, invece, è (ovvero, dovrebbe essere) “emettitore” di moneta, ed ha (ovvero, avrebbe) quindi margini di spesa più ampi di quella di una famiglia (ma ciò non toglie che anche lo Stato debba fare “spendig review”). Tuttavia, poiché oggi l’emettitrice della moneta euro è la Banca Centrale Europea e non lo Stato italiano, lo Stato italiano è equiparabile ad una famiglia, in quanto anche lo Stato italiano diventa “utilizzatore” di moneta e quindi è costretto a controllare la spesa pubblica, a fare “spending review”. I risultati dello Stato italiano “utilizzatore di moneta”, e non “emettitore di moneta”, è sotto gli occhi di tutti: lo Stato-Famiglia Italia deve far quadrare il Bilancio Statale stringendo i cordoni della Spesa Pubblica.
Ciò che accade in Inghilterra, in Francia, in Germania può servirci da modello di paragone, potrebbe fornirci la chiave per risolvere qualche nostro problema interno: ma ciò non è sufficiente, perché occorre anche impiantare la soluzione nella nostra cultura di base. Prendiamo, per esempio, la gestione delle pensioni in Germania (porto questo esempio perché conosco un po’ il sistema previdenziale tedesco). In Germania le pensioni sono ancorate ai salari, non all’inflazione. Ciò significa che se l’inflazione aumenta e i salari non aumentano, anche le pensioni non aumentano in Germania. In Italia, invece, se l’inflazione aumenta, aumentano anche gli importi pensionistici, ma non i salari, venendosi quindi a creare uno scompenso tra flusso di contributi entranti e flussi pensionistici uscenti. E allora le domando, sig. Guidobis: a suo avviso, qual è il sistema pensionistico più equilibrato, più bilanciato: quello tedesco (dove pensioni e salari aumentano insieme), o quello italiano (dove le pensioni aumentano per conto proprio e i salari restano fermi)? Come vede, non sempre si può esportare la soluzione di un Paese verso un altro Paese, proprio come si non si può esportare la democrazia in un sistema totalitario.
Per quanto riguarda, invece, mafia, evasione, razzismo e quant’altro, sono cose di cui si parla da almeno 50 anni a questa parte (mi riferisco al mio arco di vita, da quando ho cominciato a prenderne coscienza negli anni Settanta), sono cose che fanno parte di questo mondo e che forse non esisterebbero soltanto in un mondo fatto di sogno, dove i bimbi giocano con leoni docili come gattini sotto lo sguardo sorridente dei loro genitori.
Stipendi e pensioni perdono nel quadriennio 2020-2023 il 40% circa del potere di acquisto.
Un vivo ringraziamento a tutti gli utili idioti.
Sig. Giorgio, credo che lei stia utilizzando l’espressione “utile idiota” a buona ragione (almeno, così a me pare).
È un’espressione talvolta utilizzata nel linguaggio giornalistico e politico e sta ad indicare chi, indirettamente, favorisce il gioco della controparte (si tratti di un produttore, o di un partito politico, o anche – perché no? – del Governo).
Quindi, “utile idiota” è un’espressione per nulla offensiva: sta ad indicare una persona che con le proprie azioni favorisce indirettamente una determinata organizzazione.
“Utili idioti” sono, per esempio, i villeggianti disponibili a pagare spese esorbitanti per spiagge, ombrelloni e quant’altro, favorendo quei balneari che “pagano ancora allo Stato solo 100 milioni l’anno a fronte di 15 miliardi di ricavi” (fonte: articolo di Chiara Brusini sul “il Fatto Quotidiano” del 15 agosto 2023).
“Utili idioti” sono quei cittadini elettori che offrono i loro voti a politici a fronte di loro promesse elettorali che non potranno essere mantenute, non già per mancanza di volontà politica, ma perché non ci sono proprio le condizioni economiche per poterle attuare (e questo l’elettore attento lo potrebbe intuire già durante la campagna elettorale).
“Utili idioti” sono quei cittadini che affermano che “il Governo, se vuole, i soldi li trova”, e infatti il Governo i soldi li trova lasciando invariate le accise sulla benzina il cui prezzo al litro continua a salire anche grazie alla forte domanda degli “utili idioti” villeggianti di cui si è parlato poco prima (vale la pena ricordare che il prezzo viene determinato dalla domanda e dall’offerta, e quindi, se l’offerta non aumenta, all’aumentare della domanda aumenta il prezzo).
Dunque, a quali conclusioni arriviamo?
Arriviamo alla conclusione che i prezzi aumentano:
– da un lato, perché aumentano i prezzi delle materie prime, in primis elettricità e gas (e qui nessuno ci può far nulla, nemmeno la BCE, che ritiene di poter frenare l’inflazione attraverso l’aumento del tasso di sconto, cosa che a mio avviso non potrà avvenire. L’aumento del tasso di sconto (ovvero, del tasso di interesse praticato poi dalle banche commerciali) è giustificato per frenare gli investimenti, per “raffreddare” l’economia, e quindi per controllare, governare, il tasso di inflazione. Ma gli investimenti vengono frenati già dall’aumento del costo delle materie prime, e quindi è del tutto inutile aumentare il tasso di sconto/interesse, che va a penalizzare soltanto chi ha un mutuo da pagare, il piccolo artigiano che è costretto a chiedere un prestito alla banca, e il Governo che deve pagare più interessi sui prestiti che chiede al mercato);
– dall’altro, perché gli “utili idioti” con la loro incalzante domanda di beni e servizi, a fronte di una produzione che non può espandersi perché già frenata dall’aumento dei costi delle materie prime, contribuiscono ad alzare ancora di più i prezzi, portando l’inflazione a livelli molto elevati, che va ad erodere il potere di acquisto di stipendi e pensioni (l’impatto lo si avverte più sugli stipendi che sulle pensioni, le quali, contrariamente agli stipendi, vengono adeguate all’inflazione, anche se lievemente inferiore al tasso di inflazione per le pensioni che superano un determinato importo).
Insomma, sig. Giorgio, dovrei farle i miei complimenti: lei, con sole due righe è riuscito ad esprimere ciò che a me è riuscito con molte più righe delle sue.
Risposta eccellente a chi pensa che gli stupidi siano sempre gli altri…..solo su un fatto cerco di farmi capire dobbiamo contrastare in ogni forma chi pensando come risolvere o mantenere in equilibrio il sistema pensionistico non parte dal fatto che la persona che ha lavorato x 41 anni e ha contribuito in maniera assoluta all’equilibrio dello stesso è innanzitutto un essere umano stanco e non un numero x le statistiche quindi va trattato con rispetto senza calpestarne la dignità ….inutile dar la colpa a tizio o Caio….tutto sta nel considerare una persona un qualcosa di importante o solo un oggetto da statistica che si può manovrare come si vuole…siamo pieni di filosofi e grandi esperti….
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risposta eccellente per gli utili idioti.
Un utile idiota è un utile idiota, non è che servono tante parole……
La sua è una tautologia. Priva di valore informativo.
Concordo al 1000% anche se, mentre leggevo le “tante parole”, interessantissime, mi veniva spontaneo pensare che l’utile idiota, per far danni, deve incontrarsi con l’utilizzatore. Utilizzatore non meno colpevole.
E’ una banale constatazione di un dato di fatto.
Mi piacerebbe domandare a chi a suo tempo disse: CON L’EURO LAVOREREMO DI MENO E GUADAGNEREMO DI PIÙ. Perché ci hai preso per il culo in questa maniera? Forse il Dott Claudio Maria Perfetto la risposta ce la può dare. Grazie con la speranza che almeno QUOTA 103 NON SIA PENALIZZANTE.