Nel dibattito sulla riforma pensioni 2025 interviene anche un nostro lettore che rivolgendosi al Dott. Perfetto chiede se una delle soluzioni, forse la più immediata per togliersi dal pantano delle carenti risorse per approvare una riforma degna di questo nome entro il 2025, potrebbe essere separarare l’assistenza dalla previdenza.
Così Roberto: “Gentile e stimato Dott. Perfetto lei ha smontato facilmente le ingenue proposte del lettore per trovare i soldi per una riforma delle pensioni giusta e chiede idee sensate. Separare previdenza da assistenza ( a carico della collettivita’,piu’ tasse per tutti lo so)non e’ fattibile? E forse dovremmo quasi essere a posto”.
Dalla sua il Dott. Claudio Maria Perfetto fornisce una risposta puntuale facendo notare che sarebbe non solo fattibile ma anche auspicabile la direzione del Governo in tal senso, così come già proposto da diversi esperti tra cui Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, non fosse che risolverebbe solo parte del problema e sicuramente non all’origine, purtroppo. Vediamo perché:
Riforma pensioni 2025: perché purtroppo non basterebbe separare assistenz dalla previdenza?
Così Perfetto: “Sig. Roberto C., separare la previdenza dall’assistenza sarebbe fattibile. Non solo fattibile, ma anche auspicabile. Non sono io a dirlo, ma è Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, nel suo articolo dal titolo eloquente “Davvero l’Italia non può separare previdenza e assistenza?” pubblicato sul sito itinerariprevidenziali.it in data 14/3/2022 (https://www.itinerariprevidenziali.it/site/home/ilpunto/pensioni/davvero-italia-non-puo-separare-previdenza-e-assistenza.html).
In estrema sintesi, il Prof. Brambilla sostiene (dati alla mano) che, separando la previdenza dall’assistenza si otterrebbero benefici, i più significativi dei quali risulterebbero:
a) Maggiore chiarezza di bilancio, e quindi si avrebbero migliori informazioni per chi deve prendere decisioni in ambito previdenziale e assistenziale;
b) Risparmi dell’ordine di 5/6 miliardi l’anno (effettuando i dovuti controlli, si intende), e quindi si potrebbero erogare prestazioni a quelli che ne hanno davvero bisogno;
c) La spesa per pensioni risulterebbe non già del 16% del PIL ma del 12% del PIL (in linea con la media europea), e quindi si comunicherebbero dati più attendibili alla Commissione europea.
Supponiamo che il Governo prenda in seria considerazione il consiglio del Prof. Brambilla di separare la previdenza dall’assistenza e lo metta in pratica. Quindi, sig. Roberto, secondo lei dovremmo essere a quasi posto.
Ha detto bene: saremmo “quasi” a posto. Siamo a posto per quanto riguarda l’aver fatto chiarezza sull’aspetto finanziario delle pensioni. Ma la “sostenibilità del sistema previdenziale” si regge sul lavoro.
Vale dunque la pena ricordare le parole che la Prof.ssa Fornero ha pronunciato nella Conferenza stampa del 2011 quando ha spiegato la Riforma Monti-Fornero: “tutti, ma proprio tutti, devono capire che il principale meccanismo per fare pensioni è il lavoro”.
Si ritiene che il nostro sistema previdenziale sia in equilibrio quando il rapporto tra “lavoratori attivi” e “pensionati” si aggiri intorno 1,5. In altre parole, per ogni pensionato devono esserci 1,5 lavoratori attivi.
Pensioni 2025: quanti lavoratori attivi abbiamo sono sufficienti a pagare le pensioni?
L’ISTAT comunica che in maggio 2024 il numero di occupati (lavoratori attivi) è pari a 23.954.000 (https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/07/CS_Occupati-e-disoccupati_MAGGIO_2024-1.pdf).
L’INPS comunica che al 31/12/2022 il numero di pensionati è pari a 16.131.414 (https://servizi2.inps.it/servizi/osservatoristatistici/api/getAllegato/?idAllegato=1007)
Anche se facciamo riferimento a due anni differenti (2024 per gli occupati e 2022 per i pensionati) ipotizziamo che il numero di pensionati si sia mantenuto a 16.131.414 anche nel 2024.
Pertanto, il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati è dato da 23.954.000/16.131.414 = 1,48 (molto prossimo al valore ideale stimato in 1,5). Il rapporto ci dice che, per ogni pensionato, occorrono 1,48 lavoratori (diciamo 1 lavoratore a tempo pieno e 1 lavoratore part-time)
Ora, se nel 2025 volessimo mandare in pensione 100.000 lavoratori, occorrerebbe trovare lavoro a 100.000 x 1,48 = 148.000 nuovi lavoratori (supponendo a parità di importi salariali oggi erogati e a parità di importi pensionistici oggi erogati).
CONCLUSIONE: se non si aumenta il numero di lavoratori attivi, non è possibile mandare in pensione nessun lavoratore anziano, nemmeno riducendo gli importi pensionistici con il calcolo interamente contributivo o con forti penalizzazioni, in quanto, andando in pensione si riduce il numero di lavoratori attivi che contribuiscono a pagare le pensioni. Se proprio non si riesce ad aumentare il numero di lavoratori attivi, per mandare in pensione i lavoratori anziani occorre far versare i contributi alla forza lavoro robotica (Robot e AI)“
Ed é qui concludiamo noi, che torna il campo la brillante proposta già presentata all’esecutivo a firma Perfetto-Armiliato e Gibbin, e che qui vi invitiamo a rileggere. Nella speranza che prima o poi per gli autori sia possibile almeno poterla discutere con chi siede al tavolo delle decisioni.
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Buongiorno, mi chiedo perché ogni lavoratore deve versare i contributi per ogni pensionato? Io direi che ogni lavoratore deve versare i contributi per se stesso ,e che un domani li trova per la sua pensione….altrimenti saremmo sempre più penalizzati con l età di vecchiaia per uscire ( troppi )oppure con gli anni di contributi versati ( sempre troppi)….
Ma grazie a Te Marina, per le parole estremamente gentili e l’apprezzamento che hai così simpaticamente manifestato. Sono quasi confuso.
Un grande grazie a Te, e con l’occasione anche a Erica e a tutti i responsabili del sito, in assenza del quale non ci sarebbe assolutamente la possibilità di un confronto così solidale, immediato, e proficuo. La consapevolezza è importante. E le idee pure. Ma entrambe le cose nascono sempre da un mix di meditazione e confronto. Ogni occasione di crescita va colta. E quindi grazie di cuore a tutti noi
Grazie a lei Antonello per i preziosi spunti. Erica
Magari fosse vero! Tornando seri, lo sappiamo tutti che è utopia in Italia perché sull’aspetto della “confusione” si “nutrono” lor signori… basti pensare ad una qualsiasi azione finanziaria in stato di emergenza. In questo caso, i cordoni della borsa si allargano a dismisura e…gnam…
Buonasera! Anch’io ritengo che vi sia un nesso inscindibile tra pensione e lavoro. Ringrazio tutti vivamente.
Il punto è perché non lo fanno? Perché non separano le 2 casse? Mi piacerebbe sapere da quei politici che lo osteggiano quali sarebbero le giustificazioni… noi sappiamo bene che lo fanno per una qualche speculazione che non va certo a favore dei lavoratori, ma almeno ci mettessero la faccia con una spiegazione che stia in piedi, così almeno da dimostrarci ancora una volta con chi abbiamo a che fare… vigliacchi
Egregio sig. Guido, già le ho risposto due volte. Evidentemente parliamo due lingue diverse e di conseguenza io e lei non ci intendiamo.
Cordiali saluti
A ritroso nel tempo è difficile individuare le risposte. Se non erro lei riteneva non sufficienti 20 anni di contributi. Se mi sbaglio può ugualmente restare cortese.
Previdenza e assistenza. Forse NON vogliono dividerle per non fare chiarezza sui conti ?
Il rapporto lavoratori / pensionati mi fa venire in mente una cosa, che vorrei sottoporre alla riflessione comune.
Allora… Il pensionamento sotto il profilo finanziario comporta per il lavoratore sostanzialmente un duplice effetto: dal lato delle entrate, l’accredito dell’emolumento da pensione in luogo di quello da stipendio; sotto il profilo delle uscite: la cessazione del versamento mensilmente dovuto all’ente previdenziale.
Se non vado errato quest’ultimo è attualmente pari al 33% della retribuzione lorda percepita dal lavoratore, di cui poco più del 9% è a carico di quest’ultimo (ed è visibile in busta paga) ed il restante 23% circa o poco più a carico dell’azienda.
Ciò posto, l’equilibrio del sistema previdenziale, lato Inps, è conseguenzialmente legato sia alle uscite, per il pagamento del monte pensioni, sia alle mancate corrispondenti entrate collegate alla trasformazione dei rapporti di lavoro attivi in altrettanti pensionamenti (i quali non producono alcun beneficio in entrata per l’ente di previdenza). Si tratta dunque di un doppio contestuale aggravio a carico dell’ente, che vedrà ovviamente man mano appesantire il piatto della bilancia “pensionati” (che non versano contributi) rispetto al piatto della bilancia “lavoratori attivi” (che viceversa versano ogni mese i contributi).
A prescindere quindi dal numero e dalla misura delle pensioni erogate esiste dunque un ulteriore fardello essenzialmente e strutturalmente costituito dalla circostanza che il rapporto “lavoratori attivi contributori” / “pensionati non contributori” si aggrava nella stessa misura in cui aumenta in parallelo il numero dei pensionati non (più) contributori. Ed è tale rapporto che a prescindere da qualsiasi altra considerazione costituisce elemento sensibilmente sfavorevole – alla luce altresì della situazione demografica attuale – alla creazione d’ulteriori vie d’uscita pensionistiche, ovvero alla rimozione dei paletti attuali che contingentano le vie già esistenti. In definitiva, è proprio l’assenza di contribuzione (o meglio, l’assottigliamento della platea dei contributori) che fa sì che la via venga ad essere ristretta.
Mi chiedo, a tal punto, se vi sia modo eventualmente di mitigare tale ultimo aspetto, al fine di evitare che si verifichi una doppia strozzatura in capo all’ente a seguito dell’unico evento (costituito dal pensionamento) e contemporaneamente se vi sia una via d’uscita che nel contempo dia la possibilità a tutti di valutare un’uscita dal mondo del lavoro a un’età ragionevole, o comunque “umana” (cioè prima dei 67 anni).
Venendo al dunque, se si consentisse la possibilità di continuare a contribuire in favore della propria posizione previdenziale – scardinando uno dei due effetti di cui sopra – potrebbe venirsi a stabilire un sistema che faciliterebbe sensibilmente l’allargamento delle attuali strettissime maglie normative. Per esempio, potrebbe valutarsi di concedere il pensionamento potenzialmente a tutti all’età di 62 anni (a prescindere dall’età contributiva individuale) laddove per un intero quinquennio lavoratore e azienda provvedano con la medesima progressione mensile al versamento della quota contributiva di spettanza. L’importo a carico del lavoratore (poco più del 9%) potrebbe essere addebitato mensilmente direttamente dall’Inps nel cedolino di pensione fino all’età di 67 anni (quindi fino all’età della vecchiaia) mentre il datore provvederebbe a versare all’ente, sempre per il medesimo periodo, la propria quota parte (il restante 23% circa). Quanto sopra comporterebbe pertanto altresì il coinvolgimento delle parti datoriali sebbene per un periodo di tempo limitato. Il risparmio per il datore sarebbe costituito dal non mantenere il lavoratore in servizio nell’età (assai meno produttiva rispetto ad un giovane) fra i 62 e i 67 anni, evitando di pagarne lo stipendio lordo + il 23% di contributi Inps per un quinquennio, col solo costo del 23% di cui sopra per il medesimo periodo (fino ai 67 anni), che sarebbe versato progressivamente direttamente nelle casse dell’Inps. In cambio sarebbe possibile più o meno col medesimo costo risparmiato investire nell’eventuale assunzione di un giovane. Starebbe poi all’esecutivo trovare il modo per favorire tali assunzioni con manovre facilitative. Per il lavoratore il vantaggio sarebbe rappresentato dal poter finalmente cessare fin da un’età pur anziana ma ancora ragionevole il lavoro attivo, percependo emolumento pensionistico fin da subito, e sebbene l’importo sarebbe defalcato della somma contributiva trattenuta in busta paga (il 9% circa dell’ex emolumento da stipendio) purtuttavia tale versamento (che darebbe limitato solo fino all’età di 67 anni) contribuirebbe a creare un emolumento man mano leggermente superiore per gli anni successivi, vitanaturaldurante. Ovviamente, se tale meccanismo sarebbe applicato tout court dal datore di lavoro pubblico, non è detto che tutte le aziende private siano massivamente disponibili a versare per un quinquennio l’importo del 23% alle casse dell’ente di previdenza. in tale ultimo caso, tuttavia, non dovrebbe poter essere impedito ai lavoratori che intendano versare dal canto loro la propria quota parte (poco più del 9%) di contribuzione di beneficiare quantomeno di un bonus temporale proporzionale all’interno del quinquennio in questione, consentendo la messa in quiescenza del “pensionato contribuente pro tempore” 1 anno e 6 mesi prima rispetto ai 67 anni. Potrebbe essere altresì lasciata alle aziende la possibilità di optare per una partecipazione percentuale ridotta rispetto al circa 23% previsto per la platea dei lavoratori attivi. Ne conseguirebbe, per esempio che una partecipazione attorno al solo 9 o 10% potrebbe consentire un “abbuono” di 1 ulteriore anno e 6 mesi, che sommato all’anno e sei mesi derivante dalla contribuzione dell’ex lavoratore attivo sommerebbe 3 anni di anticipo rispetto ai 67 anni della vecchiaia, consentendo l’uscita – nell’esempio in discorso – di un uscita coincidente col 64° compleanno.
Lato Inps, l’ente di previdenza godrebbe massivamente di versamenti contributivi fino all’età della vecchiaia (67 anni) con scardinamento del problema delle anticipate cessazioni dei versamenti contributivi, che come noto in un sistema come il nostro appaiono essenziali per la sostenibilità di lungo periodo del sistema previdenziale. Diciamo che quella prefigurata potrebbe costituire una soluzione in stile ‘proposta Tridico’, ma senza alcun ricalcolo deteriore per il lavoratore, senza forzature normative legate alla rinuncia all’eventuale metodo di calcolo previgente spettante, senza finestre (poiché si tratterebbe di utilizzare come parametro e cardine di tutto l’età della vecchiaia: i 67 anni, per la quale non vi è applicazione di “finestre”), e con l’assicurazione massiva all’ente di previdenza di contributi fino ai 67 anni. È solo un’idea. Forse storta. Ma volevo semplicemente sottoporla alla comune attenzione, così come l’ho pensata, ovviamente per quel che vale.
I miei complimenti, Antonello, è una bellissima proposta, speriamo che il dottor Perfetto ci dia la sua opinione per la fattibilità. Noto, e non mi meraviglia, che ci sono più idee da parte di comuni lavoratori, che da politici e sindacalisti pagati profumatamente per non approdare a nulla. Se solo leggessero attentamente questo sito, potrebbero fare tesoro di tante belle idee e risolvere il problema previdenziale in men che non si dica.
Io la penso diversamente.Per il datore di lavoro pubblico l’onere per i contributi del quinquennio 62-67 anni, sarebbero comunque da addebitare alla collettività ( aumentiamo ancora le tasse?), perché è mi dispiace dirlo, è sempre debito pubblico in quanto si pagano contributi per un pensionato non più attivo.Non parliamo del datore di lavoro privato che già ha uno dei più alti rapporti al mondo lordo/netto sulla busta paga.Il mio mantra e l’ ho detto varie volte è il seguente : dobbiamo uscire gradualmente dal sistema a ripartizione e passare al sistema a capitalizzazione, ognuno si costruisce la propria pensione dalla gioventù, la pensione pubblica solo a chi non lavora, dovrebbe essere solo di sussistenza.E’ il sistema americano, ma con questa demografia ( a meno che non tassiamo i robot come proposto dal Dott.Perfetto e non mi sembra sia stata accolta bene), qualsiasi altra soluzione fa acqua da tutte le parti.
Sig. Antonello, sintetizzo il suo pensiero, così come io l’ho inteso:
1. Con il pensionamento, l’INPS ha meno entrate contributive (33% del salario lordo) e più uscite. CORRETTO.
2. L’equilibrio del sistema previdenziale dipende sia dalle uscite (monte pensioni) che dalle mancate entrate contributive. CORRETTO.
3. La bilancia dell’INPS tende a pendere più verso il “piatto dei pensionati” (che non versano contributi da lavoro) che verso il “piatto dei lavoratori attivi” (che versano i contributi da lavoro). CORRETTO.
4. In definitiva, è proprio a causa dell’assenza di contribuzione (o meglio, l’assottigliamento della platea dei contributori) che le vie di uscita pensionistiche si assottigliano. CORRETTO.
5. Domanda che il sig. Antonello si pone: se l’evento “pensionamento” genera lo squilibrio nella bilancia dell’INPS (in quanto il “piatto pensionati” è più pesante del “piatto lavoratori attivi”) esiste comunque un modo per portare la bilancia in equilibrio, concedendo allo stesso tempo ai lavoratori di uscire ad un’età ragionevole, e prima dei 67 anni? BELLA DOMANDA!
6. Ipotesi del sig. Antonello: si va in pensione a 62 anni, e per 5 anni si continuano a versare i contributi (poco più del 9% da parte dell’ex lavoratore e circa il 23% da parte del datore di lavoro). IPOTESI INTERESSANTE.
7. Ipotesi del sig. Antonello (continuazione): fino a quando non si siano compiuti i 67 anni di età (e quindi fino a quando non si raggiunga la pensione di vecchiaia), l’INPS provvede a decurtare dalla pensione dell’ex lavoratore (ora in pensione) il 9% del salario lordo che l’attuale pensionato percepiva quando era lavoratore. Il datore di lavoro, invece, continuerebbe a versare la sua quota parte, ovvero circa il 23% del salario dell’ex lavoratore ora pensionato. AL PENSIONATO POTREBBE ANCHE ANDAR BENE. RESTA DA VEDERE SE VA BENE ANCHE AL DATORE DI LAVORO.
8. Razionali espressi dal sig. Antonello nei riguardi del datore di lavoro: il datore di lavoro si troverebbe a versare all’INPS solo la quota del 23% del salario lordo relativo al versamento dei contributi dell’ex lavoratore per 5 anni, risparmiando il salario che avrebbe dovuto pagare al lavoratore se questi fosse stato ancora al lavoro. Il guadagno da parte del datore di lavoro consisterebbe nel non retribuire un salario “pieno” a fronte di una “riduzione di produttività”, salario pieno che pagherebbe anche in presenza di perdita di produttività del lavoratore che “degenera” con l’avanzare dell’età. Il datore di lavoro si troverebbe anche nella possibilità di utilizzare il “salario risparmiato” per l’ex lavoratore assumendo un lavoratore giovane, magari favorito da manovre facilitative da parte del Governo. E SE IL DATORE DI LAVORO NON FOSSE DISPONIBILE A VERSARE IL 23% ALL’INPS, QUALE ALTERNATIVA SI POTREBBE IPOTIZZARE?
9. Alternativa espressa dal sig. Antonello nei riguardi del datore di lavoro: potrebbe essere altresì lasciata alle aziende la possibilità di optare per una partecipazione percentuale ridotta rispetto al circa 23% previsto per la platea dei lavoratori attivi. Il datore di lavoro potrebbe, per esempio, versare solo il 9% o 10%, che potrebbe corrispondere ad un “abbuono” (ossia, al mancato versamento) di 1 anno e 6 mesi. In questo caso il lavoratore dovrebbe potersi ritirare ad un’età più avanzata rispetto ai 62 anni, presumibilmente a 64 anni. CONTINUANDO A VERSARE I CONTRIBUTI PURE ESSENDO IN PENSIONE FINO ALLA MATURAZIONE DELLA PENSIONE DI VECCHIAIA, IL SISTEMA PREVIDENZIALE SAREBBE IN EQUILIBRIO.
10. Conclusioni del sig. Antonello: “l’idea prefigurata potrebbe costituire una soluzione in stile ‘proposta Tridico’, ma senza alcun ricalcolo deteriore per il lavoratore, senza forzature normative legate alla rinuncia all’eventuale metodo di calcolo previgente spettante, senza finestre (poiché si tratterebbe di utilizzare come parametro e cardine di tutto l’età della vecchiaia: i 67 anni, per la quale non vi è applicazione di “finestre”) , e con l’assicurazione massiva all’ente di previdenza di contributi fino ai 67 anni”. I MIEI SINCERI COMPLIMENTI AL SIG. ANTONELLO.
Ora esprimo la mia opinione.
Oggi ci sono diverse idee buone in circolazione riguardo alle pensioni. Eppure, rimane ancora in vigore la Riforma Monti-Fornero, che non solo non si riesce a “superare”, ma non la si riesce nemmeno a “scalfire”.
Perché?
Perché nessuna Proposta di Riforma Previdenziale, inclusa l’idea del sig. Antonello, propone soluzioni alla denatalità e all’impatto dell’automazione sull’occupazione umana.
Ma nemmeno la Riforma Monti-Fornero offre soluzioni alla denatalità e all’invecchiamento della popolazione. Anzi, al contrario, essa stessa è responsabile della denatalità e dell’invecchiamento della popolazione, in quanto non permette il ricambio generazionale.
Oggi viviamo nell’era digitale, dei robot che sostituiscono gli umani, dell’intelligenza artificiale che emula gli umani, dei servizi digitali dove gli umani si sostituiscono ad altri umani (basti pensare per esempio al cliente di una banca che si sostituisce al cassiere quando esegue un bonifico con l’home banking, oppure al cliente di un supermercato che si sostituisce alla cassiera quando utilizza la cassa automatica).
Tutte le idee che hanno a che vedere con le pensioni, inclusa la brillante idea del sig. Antonello, hanno a che vedere con la forza lavoro umana. Ma, man mano che l’automazione e la digitalizzazione avanzano, man mano che ci saranno sempre meno lavoratori futuri a causa della denatalità, ci saranno sempre meno lavoratori umani che verseranno contributi. Sarà giocoforza mantenere i lavoratori anziani al lavoro per periodi sempre più lunghi, perché sarà giocoforza prelevare contributi dai sempre meno lavoratori che ci saranno. L’invecchiamento della popolazione è causato principalmente dal mantenere i lavoratori anziani sempre più a lungo al lavoro. E mantenendo i lavoratori anziani per periodi sempre più lunghi al lavoro, la popolazione diventa ancora più vecchia. È il classico “cane che si morde la coda”.
La Nuova Riforma Pensioni che potrà sostituire la Riforma Monti-Fornero, dovrà tenere conto, oltre alla forza lavoro umana, anche della forza lavoro robotica, e quindi oltre ai contributi derivanti dal lavoro umano anche dei contributi derivanti dai Robot e AI.
La Proposta di Riforma Previdenziale flessibile e strutturale Perfetto-Armiliato-Gibbin è la sola Proposta ad oggi che offre soluzioni alla denatalità e all’invecchiamento della popolazione, è la sola Proposta possibile che sia in grado di sostituire la Riforma Monti-Fornero e quindi garantire, attraverso il ricambio generazionale, attraverso la rigenerazione del tessuto sociale, la crescita economica (maggiore PIL pro capite) e lo sviluppo economico (maggiore benessere delle famiglie). Nel breve, nel medio e nel lungo periodo.
Grazie al dottor Perfetto per la sua dettagliata analisi. Ribadisco un enorme grazie e complimenti vivissimi al signor Antonello, che ha sfornato un’idea veramente ben fatta, tanto da meritare gli applausi di tutti. E ripeto, più in gamba tante persone “normali” che i politici che non si impegnano neppure, ci vogliono solo vedere morti prima del traguardo.
Ogni idea è difficilmente realizzabile .
Gentile Dottor Perfetto, innanzitutto grazie. Lei ovviamente ha inteso in maniera corretta e completa l’idea che ho voluto tentare di esporre. La ringrazio altresì moltissimo per averla Lei così dettagliatamente riepilogata punto punto.
Le devo pure confessare che se Lei, attraverso il sito Pensioni per tutti (che rappresenta strumento essenziale, oltreché forse l’unica preziosa piattaforma di reciproco ed immediato interscambio per l’argomento che così incisiva importanza ha nella vita di ciascuno di noi) non avesse tempo addietro apposto un Suo commento, nel quale evidenziava come la questione delle mancate contribuzioni conseguenti il pensionamento fosse questione di primaria rilevanza, ed anzi il vero elefante nella stanza, non avrei giammai neppure immaginato l’idea che ho esposto sulla piattaforma l’altro ieri e che Lei ha qui molto efficacemente riepilogato.
Come quasi tutti i contributori del presente sito, infatti, ero abbastanza digiuno di specifiche nozioni per argomento, e solo poiché per ovvi motivi d’età mi sto incanalando verso la fine dell’attività lavorativa sono stato mosso ad approfondire il tema.
Premesso questo, nel quotidiano, per motivi di lavoro, svolgo un continuo lavoro di analisi nel quale tento di trovare continuamente soluzioni pratiche a problemi che coinvolgono più parti. Una volta trovato il punto nodale, l’intento è sempre quotidianamente quello di immaginare una soluzione che possa in qualche modo far ‘felici’ tutti. O comunque rappresenti un buon punto d’incontro. Credo sia una delle mie poche doti.
Nel merito, un’unica notazione sul punto 8. così come da Lei gentilmente numerato.
Apparentemente pare difficile immaginare che il datore di lavoro possa trovare, numericamente, un’utilità dal corrispondere il 23% circa dell’emolumento per un soggetto che oltretutto non svolge più attività lavorativa per l’azienda. Tuttavia vorrei solo evidenziare che il versamento contributivo rappresenta un di più rispetto all’emolumento visibile in busta paga. Fatto, pertanto, 100 lo stipendio lordo, l’onere per l’azienda è quantomeno pari a 123 (100 + 23). Va altresì da sé che un lavoratore di 62 anni percepisce uno stipendio che mediamente è notevolmente più di significato rispetto a quello di un ragazzo neoassunto. Ovverossia, il nuovo lavoratore non prenderà 100 (importo nel quale rientra ovviamente una vita lavorativa intera di scatti di anzianità magari oramai al massimo livello, oltre maggiorazioni dovute al grado raggiunto, al ruolo ricoperto, alla mansione svolta, magari avente caratteristiche di responsabilità, di una struttura o di una fase della lavorazione, eccetera) bensì, magari, 75 (assumiamo questo valore per pura ipotesi, e solo per miglior comprensione). Ora, se si calcoli che il 23% di 75 è uguale a circa 17,25 abbiamo 75 (stipendio) + 17,25 = 92,25. In sintesi, al datore di lavoro conviene, sotto il profilo numerico, pagare 92,25 (costo del giovane neoassunto) + 23 (contribuzione Inps del 62enne) = 115,25. Piuttosto che sostenere l’onere di 123 per un ultra-sessantaduenne che, sebbene magari con più esperienza, non avrà mai – ammettiamolo con umana serenità – le energie vive proprie di chi ha trenta o quarant’anni di meno.
E in ogni modo, credo di aver immaginato anche l’ipotesi di un’eventuale minor contribuzione aziendale. E la circostanza che, in proporzione, gli effetti seguirebbero a ruota, e sarebbero comunque positivi per tutti.
Per quanto infine la ‘soluzione’ del problema demografico, ho ovviamente le mie idee, che qui però tengo per me. Ovviamente esso è l’effetto ultimo. L’effetto ultimo di un sistema che giace su un cuneo. E che quindi non può che rappresentare un piano inclinato dove tutto ciò che sta sopra scivola.
Detto ciò, spero solo di aver molto sommessamente contribuito a muovere… qualcosa. O quantomeno aver aggiunto un mio personale minuscolo granello nella coscienza o nelle idee di chi avrà la bontà di leggere, anche se magari poi non dovesse esser d’accordo con me per motivi propri. Tutto vale.
Grazie
Grazie infinite Antonello, per il tuo prezioso contributo. Da quello che dici, dev’essere una grande fortuna averti come compagno di lavoro. Personalmente mi ha molto impressionato la tua proposta, che appare più che sensata e fattibile. Se solo volessero, avremmo risolto i problemi.
L’idea è buona, merita un approfondimento da parte di qualche esperto come il dott. Perfetto e il dott. Marino.
Grazie Antonello per il tuo tempo speso a trovare possibili soluzioni.
Molto articolata e interessante la tua proposta e te la analizzo subito: sai qual’è il problema? per chi comanda i 67 anni sono la normalità; addirittura ragionano sui 72 anni e come limite minimo parlano di 64 anni con penalizzazioni; i 5 anni prima te li concedono e mi riguardano proprio ma…………….fanno le trattenute sulla pensione integrativa e ti mangi quella; e 6 anni prima? la tua pensione integrativa non te la mettono a disposizione salvo disoccupazione da ben oltre i 2 anni; la proposta tridico? non era male ma come vedi non l’hanno neppure presa in considerazione; l’unica fattibile sarebbe la proposta Perfetto e c. ma …….speriamo in bene; saluti a te e ai gestori del sito
Il Sig. Biagino Popoli non mi ha risposto.
Io ho 36.7 di contributi ma “solo” 23,8 di INPS con un montante di oltre 400000 Eur? Mi vuole togliere la pensione?
Contributi=Bancomat
….e il banco vince sempre !
Giusto separare assistenza da previdenza, sarebbe già un passo importante, ma anche su questo non c’è mai la volontà politica di farlo.
Sono d’accordo, ovviamente i risultati si vedranno nel tempo.
Ma se non si inizia.
Più facile andare su Marte…che dare una sistematina al nostro sistema previdenziale!!
La separazione assistenza/previdenza sarebbe già un passo importante per vederci chiaro, ma non la vogliono fare! Non c’è via di scampo, perchè le soluzioni ci sono e sono state più volte evidenziate anche in questo sito, ma ogni governo in carica istituisce delle commissioni che non commissionano un bel niente: sembra quasi che valutino le cose per poi passare il problema al prossimo governo e questi arrivino al punto critico per far arrivare un governo tecnico che dovrà poi velocemente sanare il tutto con grandi costi/sacrifici per tutti, ma soprattutto per le future generazioni.
X me è sempre stato il primo passo….ma anche se è il numero di lavoratori che può mantenere in equilibrio il sistema non capisco la non volontà ad intervenire sulla separazione assistenza previdenza
Non lo faranno mai
Certezza assoluta: NON lo faranno mai
Separazione? Certo! Chi ha pagato abbia la pensione. Chi poco o non abbastanza intervenga l’Erario. Lo dico da anni. Questione di trasparenza contabile e giustizia. Lasciate fare a noi ragionieri ed esperti contabili.